Nello scenario globale di una guerra commerciale Usa – Cina, che provoca volatilità dei prezzi e grande incertezza tra le imprese, i tempi della burocrazia fanno crescere ulteriormente l’incertezza, frenando l’adeguamento e la realizzazione di nuove infrastrutture, fondamentali per lo sviluppo dell’import di cereali.
A lanciare l’allarme è Anacer, l’associazione che riunisce i trader di cereali e le industrie di trasformazione della materia prima, a cui fanno capo multinazionali statunitensi Bunge e Cargill, la cinese Cofco International e grandi player italiani, quali Casillo, Rummo, Amadori e Docks Cereali.
Quest’ultima azienda, appartenente al gruppo PIR di Guido Ottolenghi, gestisce a Ravenna il più grande terminal del Mediterraneo per lo stoccaggio e la movimentazione di merci secche alla rinfusa.
Un settore, con un volume d’ affari complessivo di 9 miliardi di euro, che si sente sotto scacco.
«La burocrazia è il vero capestro, perché rallenta gli investimenti nelle infrastrutture portuali», dice il Presidente di Anacer Carlo Licciardi, già Amministratore delegato di Cofco International.
Sono infatti i porti dell’ Adriatico i più utilizzati per le importazioni della materia prima proveniente principalmente dai Paesi del Est Europa (attraverso il Mar Nero), da Nord America e Sud America. Tra questi, Ravenna e Venezia, per i quali si attendono da anni opere di escavazione per approfondire i fondali e consentire l’ingresso a navi che provengono da porti con pescaggi pressoché illimitati.
A dicembre 2019, la situazione dei lavori al Porto di Ravenna sembra essersi finalmente sbloccata, grazie alla pubblicazione del bando Ravenna Port Hub, che prevede l’escavo dei fondali e la realizzazione di 150 ettari di aree per la logistica.
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